Le Interviste di ROBERTO SARDELLI Intervista Vincenzo Nibali |
6
marzo 2005 Tra
una corsa e l'altra, il forte atleta siciliano Vincenzo
Nibali, viene spesso e volentieri in Toscana, la terra
che lo ha ciclisticamente adottato e dove innumerevoli
sono state le sue vittoriose scorribande nella categoria
dilettanti.
Ai
piedi del San Baronto, la collina sacra ai pedalatori
del Valdarno e della Valdinievole, il corridore messinese
analizza soddisfatto quello che è stato il suo esordio
tra i professionisti.
«Vengo
sempre volentieri in Toscana, è la regione che considero
la mia seconda patria. Peccato che il freddo pungente
e le nevicate di questi giorni, abbiano reso più difficili
i miei allenamenti. Sono soddisfatto del mio debutto.
Il "Laigueglia" è stata la mia prima corsa tra
i professionisti e devo dire che in quell'occasione ho
avvertito buone sensazioni. Sulla penultima salita sono
riuscito anche ad andar via con un gruppetto nel quale
erano presenti corridori quali il mio compagno di squadra
Dario Frigo ed Emanuele Sella. Anche se al termine della
discesa siamo stati raggiunti, penso che provarci, sia
stato comunque positivo per un giovane come me. Pochi
giorni dopo ho corso in Francia il Tour de Haut Var ed
anche in quell'occasione mi sono contraddistinto, piazzandomi
al 12° posto. È stata una corsa molto difficile con un
dislivello altimetrico molto impegnativo, ma nonostante
ciò, sono riuscito a stare con i primissimi fino a due
chilometri dallo scollinamento dell'ultima asperità della
gara».
Vincenzo
analizza lucidamente le differenze riscontrate nel modo
di correre dei professionisti, per certi versi diametralmente
opposto rispetto a quello dei dilettanti.
«Qui
il ritmo è completamente diverso, è importante disporre
di fondo. Adesso quando si accelera, le accelerazioni
sono più violente, più forti. Serve inevitabilmente una
marcia in più».
Il
carattere non rappresenta certo l'anello debole delle
peculiarità di questo ragazzo del sud. Volendo tuttavia
approfondire quelle che sono le sue credenziali tecniche,
Vincenzo è consapevole di avere ancora molto da imparare
per capire quali siano i confini delle sue potenzialità.
«Mi
definisco un passista scalatore. Quando sto bene e sono
in forma, mi difendo anche sulle salite e difficilmente
riescono a staccarmi. Parlo ovviamente di quello che ero
capace di fare tra i dilettanti dove, atleta di primo
anno, ricordo che riuscivo a tenere le ruote di Sella.
Certamente poi, Emanuele aveva una marcia in più ed era
capace di far la differenza».
Le
sue caratteristiche divergono comunque, rispetto a quelle
dell'atleta vicentino.
«Io
sono uno che quando attacca in salita non tiene un'andatura
fatta di scatti e contro scatti.
Agisco magari con un unico scatto micidiale e prolungato,
che mi consente di fare la differenza. Adesso però, tra
i professionisti, si riparte da zero e sarà di per sé
impresa ardua, il solo tener le ruote».
Nibali
però, si è ben distinto anche per le sue attitudini nelle
gare contro il tempo e suscita molta attesa e curiosità
vederlo all'opera nelle volate.
«Anche
in pianura mi sono sempre difeso. Forse mi manca un po'
lo sprint, ma nei miei trascorsi nelle categorie minori,
quando la corsa si faceva dura e tirata, ero capace di
fare delle belle volate; certamente non volate di gruppo,
ma ristrette a cinque, sei corridori».
Sarebbe
bello ipotizzare in un futuro magari non lontano, vedere
Vincenzo competitivo in una grande corsa a tappe, sognare
una rivalità con Cunego sulle strade dei prossimi Giri
d'Italia e Tour de France.
«Non
posso assolutamente giudicarmi in contesti del genere.
Le gare a tappe che ho svolto sino ad oggi, sono state
gare con un massimo di sei frazioni. Tre settimane sono
tutta un'altra cosa e dovrò ancora crescere molto sia
dal punto di vista atletico che fisico. Per il futuro,
sono fiducioso, non mi tiro indietro. I risultati ottenuti
sia da juniores che da dilettante sono sempre stati confortanti,
ma torno a ripetere che per primeggiare nella grandi gare
a tappe bisognerà disporre di doti non comuni».
Nelle
gare in linea invece, il suo sogno è rappresentato dalla
Parigi-Roubaix, emulare le gesta di campioni quali Ballerini
e Tafi.
«Sono
un appassionato di mountain bike ed anche se la Roubaix
è pur sempre una classica che si corre con biciclette
da corsa, magari particolari, ma pur sempre bici da corsa,
il pensiero di correrla sotto il fango e la pioggia, mi
ispira moltissimo. Poichè mi ritengo anche passista, sarebbe
un bellissimo sogno anche soltanto parteciparvi».
Se
il ciclismo è lo sport dei dualismi e delle rivalità,
perlomeno da quanto si è visto tra i dilettanti, si profila
un dualismo interessante con l'altro atleta siciliano,
Giovanni Visconti.
«Giovanni
è un amico e con lui ho sicuramente un ottimo rapporto.
In corsa il discorso è sempre stato un po' diverso. Ci
sono state occasioni nelle quali potevamo aiutarci tra
di noi o coalizzarci a far fuori gli avversari per poi
giocarci tra di noi la
competizione. Certe strategie non sono però mai andate
troppo a genio a Luca Scinto, D.S. di Giovanni e molto
spesso è successo che io abbia perso corse per stare troppo
attento a lui e viceversa. Visconti è comunque un grande
atleta, micidiale soprattutto nelle volate ristrette».
A
proposito della sua partecipazione al Giro d'Italia o
al Tour de France, le riserve non sono ancora sciolte.
Affiora però la propensione dei suoi tecnici a rinviare
di un anno il debutto in una grande gara a tappe.
«Penso
che se dovessi andare forte, nessuno cercherà di mettermi
dei freni. Saranno comunque i miei tecnici a decidere.
Ho compiuto 20 anni lo scorso novembre, aspettare ancora
un anno prima di correre il Giro, non lo vivrei certo
come qualcosa di traumatico. Corse a tappe di lunga durata
non le ho mai fatte, non sono in grado di giudicarmi su
corse di tre settimane».
Quando
Vincenzo parla dei suoi tecnici, non si può prescindere
da Bruno Cenghialta che ha fortemente voluto con sé il
talentoso atleta siciliano.
«Firmai
il contratto lo scorso anno, una settimana dopo il Mondiale
di Verona. Era da un po' di tempo che Bruno mi stava seguendo
e la mia decisione era ormai condizionata a quello che
sarebbe stato il suo futuro. Avendo la ALESSIO CERCHI
chiuso con il ciclismo, ho allora deciso di seguirlo alla
FASSA BORTOLO.
Devo
dire che qui mi sono trovato molto bene anche con gli
altri tecnici, sia Ferretti che Volpi e Giannelli».
Se
si parla del Mondiale di Verona però, la ferita è ancora
aperta. Quel giorno la nostra nazionale non fu coordinata
al meglio; era palese una sfrenata anarchia ed uno spiccato
individualismo. Il gioco di squadra fu totalmente assente
e l'atteggiamento tattico degli azzurri, finì con il ritorcersi
contro loro stessi.
«Quel
giorno ognuno badò a fare il proprio comodo. All'arrivo
ero molto nervoso ed ero su tutte le furie. Secondo me,
la tattica fu del tutto sbagliata. Si sarebbe dovuto fermare
Pozzovivo che era davanti; in tre ad inseguire sarebbe
stato tutto diverso. Noi dietro invece, non ci potevamo
muovere e nemmeno tirare l'inseguimento. Mi è stato poi
detto che io avevo sprecato troppe energie. Posso assicurare
che sino all'ultimo giro io stavo benissimo. Quella tattica
di assurdo attendismo, aveva fatto sì che non avessi speso
più di tanto. Purtroppo Thomas Dekker è stato bravo a
scattare prendendomi in contropiede. Quando ha scollinato,
il suo vantaggio aveva già raggiunto i 10". Tuttavia,
c'erano ancora ampie possibilità di riagganciarlo.
Dietro però, ci siamo guardati un po' troppo tra di noi
ed il distacco si è in pochi attimi raddoppiato, consentendogli
di conquistare una prestigiosa medaglia d'argento. Pozzovivo
che aveva condizionato la nostra tattica di corsa, non
è riuscito a centrare nemmeno il bronzo, piazzandosi al
quarto posto. Magra consolazione il mio quinto posto ed
il settimo di Visconti».
La
disapprovazione verso quella strategia di corsa, si fa
ancora più evidente quando esprime il suo parere su quello
che secondo lui, era l'atteggiamento tattico da seguire.
«Analizzando
più nei dettagli quelle che erano le caratteristiche tecniche
di ciascun atleta, penso che sia io che Visconti, in un
eventuale arrivo in volata, si sarebbe potuto far qualcosa.
Era sicuro che allo sprint, Pozzovivo sarebbe stato battuto.
Proprio per questo, doveva stare passivo e non collaborare.
Così facendo, si sarebbe risparmiato ed avrebbe avuto
la possibilità di arrivare fresco alle fasi finali, dove
avrebbe potuto tentare anche di andar via da solo. Ha
preferito invece consumarsi in pianura ed arrivare stanco
sulla salita per essere staccato proprio lì, sul suo terreno».
La
generazione che si è affacciata quest'anno al mondo professionistico
presenta sicuramente atleti importanti in grado di lasciare
il segno nel ciclismo dei prossimi anni. A tal proposito
anche Vincenzo esprime quelle che sono le sue convinzioni. «Tra
i dilettanti i nomi più gettonati erano sicuramente quelli
di Siutsou, Dekker, Visconti, Pozzovivo, Grivko. Tutti
ottimi atleti. Personalmente, quello che ho visto più
competitivo, che andava forse un po? più forte fra tutti,
è stato Andriy Grivko. L'anno scorso ha avuto modo di
aiutare Visconti, suo compagno alla FINAUTO YOMO ed è
stato in grado di vincere corse prestigiose anche per
sé stesso, quali il Giro delle Regioni ed il Giro della
Toscana». |
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