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CAMPIONATI MONDIALI DI CICLOCROSS, TABOR – REPUBBLICA CECA

3-4 FEBBRAIO 2001

Foto Michele LugeriA scanso di equivoci e di polemiche dotte, le maglie assegnate a Tabor, antica città a sud di Praga sede dei seguaci del riformatore cristiano Jan Hus, fanno parte a pieno titolo dell’albo d’oro del terzo millennio.

Il 2001 ha accolto i crossisti imbiancando di neve il circuito iridato, rendendolo insidiosissimo nella prima giornata di gare. Fango per gli élite: la pioggia caduta domenica ha sciolto il manto superficiale, lasciando così sporgere qua e la le placche di ghiaccio.

Oro ad Erwin Vervecken e bronzo per Mario De Clerq. Quest’anno la nazionale belga ha messo da parte le ragioni degli sponsor e le faide interne e si è mostrata compatta e implacabile.

La vittoria più prestigiosa non sfugge agli uomini di Eric De Vlaeminck. Senza però l’alleanza tra Mario De Clerq e Sven Nijs, nessuno avrebbe potuto fermare l’irruenza dell’idolo di casa Peter Dlask.

Il treno belga non commette errori tecnici né tattici: a turno rispondono alle violente accelerazioni del ceco, incitato da decine di migliaia di tifosi. Solo Groenendaal tiene il passo per sei giri prima di cedere di schianto, ma con onore.

Pontoni per due giri ha alimentato le speranze di ricongiungimento ai sei di testa, ma una balla di paglia sollevata da Bart Wellens gli fa perdere posizioni preziose, spingendolo al ritiro e ad una fuga frettolosa in albergo piuttosto che spronarlo ad effettuare una rimonta verso una posizione più dignitosa e alla portata del suo indubbio stato di forma.

Forse Daniele era davvero pronto per lottare, ma l’avvio dei belgi e la sfortuna lo hanno spiazzato.

Restano quindi in tre a giocarsi le medaglie: Dlask vola sugli ostacoli, aggredisce le scalinate, allunga all’uscita di ogni curva, guadagna venti, trenta metri ma dietro Nijs e De Clerq chiudono a turno. Sono vecchi ricordi il sorpasso beffardo di “SuperMario” proprio su Vervecken nel ’98 e il “gran rifiuto” del giovane Sven nei mondiali svolti nel giardino di casa Groenendaal, lo scorso anno a Sint Michielsgestel.

Così per il tenace crossista ceco c’è solo l’argento e De Clerq sale, stremato, sul podio per la quarta volta consecutiva.

Tra i piazzati due inossidabili: sesto posto per Djernis, il danese dell’accoppiata mondiale cross-mtb, e quindicesima piazza per Radomir Simunek senior, l’unico uomo a vincere la maglia iridata in tutte le categorie. Non è di poco conto il fatto che suo figlio, che porta lo stesso nome, si è affacciato sul podio conquistando il bronzo juniores.

Esce dunque da protagonista la Repubblica Ceca dai suoi mondiali: tripletta tra i più giovani; argento e bronzo tra gli under 23, battuti solo da un altro Sven, Vanthourenhout, e Dlask secondo per un soffio tra gli élite. Con queste premesse si annuncia una presenza stabile negli anni dello squadrone ceco, pronto a contrastare il dominio belga-olandese.

L’altro oro in palio, quello femminile, è riservato al bis di Hanka Kupfernagel che inesorabilmente precede due atlete olandesi, Dorland e Van der Brand.

Foto Michele Lugeri
Hanka Kupfernagel

La gara femminile ci suggerisce qualche considerazione: trenta minuti di corsa sono veramente pochi. Lo affermano Corine Dorland e Annabella Stropparo che dice “non ho neanche sudato” – perché in bici, anche se sulla neve a sette gradi sottozero, si suda eccome.

Foto Michele Lugeri
Annabella Stropparo

Se non c’è tempo neanche per carburare, figuriamoci per rimediare ad un errore. Infatti la Stropparo, undicesima all’arrivo – con solo due cross disputati in preparazione del mondiale – ha pagato la partenza fulminea e l’accesso alla prima scalinata restando imbottigliata, lamentando l’incompatibilità della preparazione per la mountain bike con quella necessaria per il cross. Tanto per confermare che le due specialità non sono un doppione ma rappresentano due tecniche profondamente diverse, per i percorsi, la durata, il tipo di sforzo: più concentrato e nervoso il ciclocross, più diluita la mountain bike che può comportare dei chilometraggi tali da rendersi alternativa alla strada, piuttosto che al cross. Fermo restando che tutte le discipline del ciclismo devono essere valorizzate e nessuna a scapito dell’altra. Sponsor permettendo.

Sempre in tema è emersa una possibilità, un desiderio delle ragazze: correre una vera e propria Coppa del Mondo e magari vedere il ciclocross come una specialità olimpica invernale. Due elementi per la rinascita di questo sport. Investendo nella mountain bike abbiamo raccolto titoli olimpici e mondiali. Non resta quindi che investire anche nel cross e dare appoggio e motivazioni alle nostre atlete. Guardiamo la disinvoltura con cui la Kupfernagel sale sui podi della strada e del ciclocross; guardiamo la tenacia di una ragazzina britannica come la Cooke, iridata juniores a Plouay e settima a Tabor.

 

LA SPEDIZIONE AZZURRA

 Foto Michele Lugeri

Sono ripetute le stagioni in cui i pochi commenti riservati ai Campionati del Mondo di Ciclocross non riportano più nessuna notizia di medaglie per gli azzurri. L’argento juniores di Toffoletti nel ’97 è ormai sbiadito e insufficiente per il ciclismo italiano.

Sarà stata la stanza numero 17 dell’Hotel Milena dove alloggiavano gli under 23 Case e Franzoi; sarà stato il numero 17 appuntato sulla schiena e le spalle di Daniele Pontoni; sarà stato il fatto che anche Vito Di Tano è scivolato sul ghiaccio e si è lussato una spalla; mettiamo in conto anche che Bramati è rimasto…dal dentista, a causa di una sostanza proibita riscontrata in un controllo e, a suo dire, contenuta in un anestetico.

Fatto sta che una potenza del ciclismo come l’Italia non è riuscita a schierare cinque élite come da regolamento (solo quattro iscritti compreso Bramati, peraltro non sostituito) e che i migliori risultati siano stati ottenuti da Annabella Stropparo e Paola Bortolin, appena fuori le prime dieci.

Le partenze di Michele Sbetta e Francesco Case negli under 23 e di Pontoni negli élite sembravano però proiettare i nostri corridori in zona podio.

Case cadeva quando era in seconda posizione e procedeva con passo aggressivo; purtroppo una scivolata gli ha fatto uscire parte del tubolare dal cerchione: la foga di raggiungere comunque i box a piedi e il freddo intenso hanno impedito al ragazzo trevigiano di sistemare la ruota con le mani e quindi di aspirare ad un piazzamento di prestigio.

Case ha comunque continuato, rimontando dalla terzultima piazza fino a metà gruppo.

Cosa che non ha fatto invece Pontoni.

Dopo una partenza discreta, l’azzurro si capovolgeva su d’una balla di fieno urtata da Bart Wellens. Poi i pattini dei freni che si sono storti e la rabbia hanno fatto si che l’ex-campione friulano si indirizzasse ammutolito verso l’hotel.

In un percorso così tecnico e reso micidiale dal ghiaccio, come quello di Tabor, il rischio di caduta era elevato per chiunque, sia grande favorito che comprimario. Groenendaal, forse sfinito dall’inseguire una conferma iridata, cade; ma prosegue nelle retrovie, navigando a quattro minuti di distacco.

Un discorso a parte merita il ritiro di Enrico Franzoi. Il campione italiano under 23 è apparso molto teso, quasi bloccato dalle responsabilità e dalle aspettative riposte su di lui per la conquista di una medaglia. Ritenuta peraltro dai tecnici come l’unica possibile per la spedizione azzurra.

Il ragazzo di Mogliano Veneto cadeva già al mattino durante il sopralluogo del percorso e poi di nuovo in gara, mentre cercava di raggiungere la decima posizione dopo una partenza bloccata, in apnea.

Questa seconda caduta, secca, sul ghiaccio, e l’emozione per una gara mondiale ormai compromessa, hanno provocato un primo svenimento del ragazzo, proprio tra le braccia del papà di Case, presente sul percorso. Più preoccupante è stata una seconda perdita di sensi avvenuta in autoambulanza, dove Franzoi era accompagnato da Giancarlo Bonotto, suo direttore sportivo nella ex-squadra juniores.

Per fortuna elettrocardiogramma e radiografie non rilevavano alcune conseguenze gravi. Solo una forte contusione all’anca, tanto forte da mozzare il fiato, complice un urto del manubrio sul petto. La temperatura glaciale e l’emozione hanno fatto il resto.

In serata i ragazzi, scarichi della tensione e dagli impegni agonistici, hanno potuto scordare le delusioni ascoltando un po’ di musica in discoteca. Di ballare non se ne parlava…ne avevano già fatti parecchi di salti.

Questa quindi la nostra situazione: rabbia, sfortuna, ammaccamenti. Certo non siamo andati a chiedere conto ai belgi e ai cechi quali fossero i loro numeri di stanza: avremmo potuto scoprire altri diciassette, o dei tredici. Meglio non sapere che sono stati anche più forti della sorte.

Comunque più dell’Italia forse è stata l’Olanda a rimanere a bocca asciutta. Solo i due gradini più bassi del podio sono stati conquistati nella corsa femminile. Ma l’Olanda è un paese di robuste tradizioni crossistiche, così forti da mobilitare centinaia di tifosi ovunque e tutto senza che gli altri settori ne risentano per numero di campioni e interesse del pubblico. Anche senza vittorie, la squadra olandese è apparsa comunque solida.

Abbiamo due anni di tempo per ben figurare in casa, a Monopoli. Un occasione unica per un mondiale che ha tutti gli elementi per rimanere nella storia di questo sport e stupire col suo tepore e i suoi colori i fan fiamminghi. Forse il fascino del mare o degli ulivi potrà far apparire l’arcobaleno sulle maglie azzurre.

PROVOCAZIONI

 

Qual è il ruolo del ciclocross, oggi? Si tratta senza dubbio di una disciplina ad appannaggio delle scuole belga e olandese, con la presenza di quella ceca in pianta stabile. Il posto dell’Italia e della Svizzera, che attraversano un periodo di crisi di risultati, sembra preso da due assolute novità: Gran Bretagna e Stati Uniti, sia in campo maschile che femminile. Poi altre nazioni hanno partecipato sportivamente alla competizione mondiale, ma agonisticamente il lotto delle squadre con velleità di vittoria è molto ristretto.

Cosa fare, quindi, per esaltare le caratteristiche di questo sport e riportare in alto la squadra azzurra?

Il vivaio belga parla chiaro: da quando un grande campione come Eric De Vlaeminck ha preso in mano non solo la nazionale, ma tutto il movimento del ciclocross, i suoi corridori possono aspirare anche a conquistare tutte le nove medaglie a disposizione. Come prima Nijs, anche Wellens e Vannoppen si sono imposti d’autorità tra gli élite; adesso toccherà anche a Vanthourenhout.

Non scherzano i cechi: la tripletta juniores darà manforte a Dlask e Kasek.

Italia: dopo Pontoni, il vuoto. Non ci sono altri élite che possono reggere il confronto in campo internazionale. Per fortuna il cross offre spazio anche ai corridori esperti e maturi, ma non sappiamo se Daniele potrà godere di una fine carriera al top, coma quella di Adri Van Der Poel, ad esempio.

Allora, come vuole la solita vecchia norma, curare il vivaio. E possiamo considerarci fortunati se troviamo ancora talenti come Franzoi e Case, disposti a saltare su e giù per fossi e argini e ricoprirsi di fango. Però, in carenza di risultati internazionali – perché le corse intorno ai nostri campanili attualmente non stimolano la crescita dei campioni che cerchiamo – cosa succede se i migliori ragazzi abbandonano i prati per la strada? Del resto l’attività principale delle squadre di appartenenza dei due giovani – Trevigiani-Mapei per Franzoi, De Nardi-Pasta Montegrappa per Case, riguarda proprio la strada, dove tra l’altro i due si sono già fatti notare.

Non è secondario il fatto che Franzoi abbia dovuto correre con la sua vecchia bici Rebellato: la Trevigiani non dispone di Pinarello da cross.

Lo staff tecnico federale? Vito Di Tano dovrebbe avere carta bianca e la possibilità di creare centri stabili per lo sviluppo del ciclocross, cercando di coinvolgere molti giovani andando a correre anche nei parchi delle grandi città italiane. Il “ferroviere”, persona seria, modesta, formato dall’esperienza e dal dilettantismo piuttosto che dalle “tabelle magiche”, sembra l’uomo giusto per guidare il ciclocross. Certo, rimaniamo perplessi nel vedere si un grande campione, ma della pista, come Sergio Bianchetto all’interno dello staff tecnico. La stranezza risulta ancora più evidente se pensiamo allo stato in cui versa il movimento della pista. Sicuramente l’olimpionico del tandem potrà far valere maggiormente la sua esperienza tra i tubolari di seta che tra quelli scolpiti.

Speriamo quindi di non sprecare le promesse dei nostri vivai, anche perché il cross, per la sua spettacolarità, velocità, visibilità ed anche per la sua caratteristica unica, la corsa a piedi, è una specialità che merita maggiore fortuna.

E allora si potrebbero accentuare alcuni aspetti tecnici, come ad esempio, aumentare i tratti a piedi e addirittura reintrodurre le gabbiette fermapiede. Fa parte del campione anche la lucidità nel dare il colpetto giusto per fare girare pedale ed infilare il piede. Certo, lo sgancio rapido ha salvato le caviglie dei corridori e contribuito ad alzare le medie orarie. Ma è facile usarlo. Per tutti.

Renato Longo, più volte iridato negli anni sessanta, con la sua leggerezza guadagnava secondi su secondi dopo ogni palanca da saltare o scalinata, senza sbagliare mai l’infilata del pedale.

A Tabor i corridori dovevano affrontare cinque serie di ostacoli ogni giro, quindi per gli élite c’erano quaranta ostacoli in tutto: guadagnare per un buon “piede” due secondi ad ostacolo corrisponde alla bellezza di un minuto e venti totali, per passare magari dalla “medaglia di legno” a quella d’oro o viceversa.

Questa esaltazione del gesto tecnico esalta anche l’agonismo. Il suggerimento? Tornare indietro nel tempo, come si è già fatto per il record dell’ora.

Altra cosa saggia sarebbe il fatto di mettere da parte ruote in carbonio ad alto profilo o a razze. Queste ruote da cronometro sono così delicate, tirate allo spasimo e non certo adatte all’uso in questo tipo di gare nel fango o sul ghiaccio: Case, in allenamento, si è perso dopo un salto razze e mozzo, posteriori, per sua fortuna. Lo stesso corridore e troppi altri atleti hanno visto i loro tubolari scappare dalle loro sedi. Sarà perché la celebre “carogna” non è più in produzione e non ci sono evidentemente altri collanti adeguati; sarà perché non si mettono più i tubolari in soffitta a stagionare anni e anni, come faceva Coppi per la Parigi-Roubaix, sarà perché i ragazzi vogliono sempre l’ultimo modello disponibile e il più colorato, ma non si può rischiare – se non l’osso del collo – un Campionato del Mondo per dei componenti inadeguati al tipo di corsa. Non temano le case produttrici: non è certo il mercato composto dagli sparuti crossisti della domenica a sostenere il livello delle vendite, a quello ci pensano abbondantemente gli stradisti.

Ma la cosa più importante è pedalare, correre.

Allora perché non portare i nostri giovani durante le vacanze scolastiche di Natale a correre in Olanda e Belgio, dove ogni cittadina organizza il suo cross internazionale e dove si può correre ad alto livello ogni tre giorni. L’occasione di conoscere i propri antagonisti, di vivere un’atmosfera speciale per il cross, imparare altre lingue, consolidare amicizie è allettante. È l’occasione per far maturare i campioni che aspettiamo.

E così forse potremo anche raccogliere qualche grande vittoria. E con le vittorie arrivano altri esordienti, e altri campioni ancora. Poi forse arriveranno gli sponsor. Chissà, forse alla fine ci scapperà fuori non dico un ripresa diretta, magari un semplice servizio televisivo che ci racconterà di un ciclocross vivo e vegeto.

Michele Lugeri michele.lugeri@bikenews.zzn.com

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